sabato 30 settembre 2017

Schizocardia: la malattia dei bugiardi




Siamo tutti un po' affetti da una malattia al cuore ancora sconosciuta alla medicina, ma non a Dio: la schizocardia (schizo, divisione, e cardia, cuore), un cuore diviso. È come se avessimo due cuori, uno che ci dice le cose giuste e uno che ci orienta a scelte sbagliate.

Purtroppo per questa malattia c'è solo una cura: Gesù. È Lui che sa tenere unito il cuore e ci insegna le cose giuste da scegliere. Spesso, invece, vogliamo fare di testa nostra credendo che quella sola basti. Ci ritroviamo, così, a dire una cosa e a fare la cosa esattamente opposta. In altri termini siamo incoerenti. Questo significa che manca il principio che anima le nostre scelte, che aiuta a valutare il bene da fare e il male da evitare...

La schizocardia si manifesta soprattutto con le bugie, come capita a uno dei figli che il padrone chiama a lavorare nella sua vigna (cf. Mt 21,28-32): uno dice sinceramente che non ne ha voglia, ma poi si pente e ci va; l'altro mente dicendo "sì, signore", ma poi non ci va. 

Siamo tutti d'accordo che a fare la volontà del padre sia stato il primo, il quale ha preferito la via della verità. La verità non porta mai sulla cattiva strada. Il primo figlio sin dall'inizio esprime il suo dissenso, perché vuole davvero bene al padre e decide di essergli leale... è proprio quel bene autentico che lo spinge a capire che sta sbagliando e quindi a comprendere come correggersi.

Il secondo figlio non vuole veramente bene al padre, ma pur di apparire bravo gli mente. Il suo errore sarà incorreggibile, perché la sua menzogna non gli permette di riconoscere in cosa ha sbagliato e preferendo la bugia, continua a dire e non fare la volontà del padre.

Così è per me ogni volta che dico di essere cristiano ma mi comporto in modo irrispettoso nei confronti dei fratelli e di Dio; oppure quando dico di essere andato a messa ma durante la celebrazione ho fatto tutt'altro che pregare; o quando mi accosto all'eucarestia senza confessarmi da mesi solo per paura di essere criticato dagli altri; o anche quando dopo la cresima pur avendo confermato il mio impegno a essere cristiano, abbandono tutta la vita di fede; o magari quando mi dico cristiano e poi a scuola, a lavoro, in palestra, in famiglia, tra amici non testimonio Cristo nella scelte che compio, nelle parole che uso, negli atteggiamenti che assumo, nei discorsi che faccio...

Questo significa che il mio cuore non è collegato veramente a Gesù, quindi non solo voglio far vedere che sono perfetto, ma non voglio nemmeno ammettere i miei errori, mentre è palese il mio sbaglio, la mia incoerenza. Praticamente scelgo di mentire! Lo schizocardico è un bugiardo che non fonda la sua vita su Gesù e la Sua volontà, ma sull'ipocrisia! Se il cuore è collegato a Cristo provo quello che prova Lui, amo come ama Lui, mi sforzo di essere come Lui e di compiere la Sua volontà anche quando all'inizio non mi va.


  • A chi è collegato il mio cuore: a Gesù o alle bugie?
  • Mi interrogo su quale sia la volontà di Dio? La perseguo anche se apparentemente non mi piace?
  • Quando mi accorgo di aver sbagliato ho l'umiltà di tornare sui miei passi e cambiare strada?

d. Domenico


domenica 24 settembre 2017

"Il tuo occhio è cattivo"



Tutti, chi più chi meno, siamo stati invidiosi di qualcuno, o per lo meno abbiamo giudicato ingiusto un suo dono ritenendoci più meritevoli. E magari, chissà, ce la siamo presi pure con Dio che crea delle disparità.

Il Vangelo di Matteo (20,1-16) parla del padrone della vigna che chiama a ogni ora un lavoratore contrattando con lui un denaro e a fine giornata retribuisce il lavoro a tutti con la stessa paga. È umanamente ingiusto se si pensa che c'è chi ha lavorato di più. Da qui nasce l'invidia dei lavoratori della prima ora che si sentono traditi e ingiustamente trattati, dimenticando che il padrone aveva stipulato sin dall'inizio quella somma con ciascuno! 

«Amico mio, non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? [...] non posso fare delle cose mie quello che voglio? Oppure il tuo "occhio è cattivo" perché io sono buono?».
La giusta osservazione del padrone mette in risalto che l'occhio cattivo, abituato a vedere il male, a ragionare secondo la logica del profitto e del merito, non permette di vedere il bene che il Signore compie. Siamo così intrisi di umano, che crediamo basti quello per vivere. Ma che ce ne facciamo del materiale se quando moriremo sarà la nostra anima a incontrare Dio? Dovremmo allora coltivare di più la dimensione spirituale e pensare secondo il pensiero di Dio.

Se diciamo che Dio è amore, è Padre che ama tutti i suoi figli, allora non può permettere che ci siano figli che si salvino e figli che si perdano, ma dona a ciascuno la possibilità di salvarsi. L'importante è che lavorino nella sua vigna edificando il Regno di Dio, piuttosto che a perdere tempo.

Il Signore ha cura di tutti e soffre quando ci vede a far nulla (cf Mt 20,3) anziché impegnarci a lavorare per il Suo Regno. Quante volte preferiamo fare altro anziché pensare a Dio, e poi ricorriamo a Lui, magari rimproverandolo, quando le cose non vanno; spesso anziché gioire per un fratello che si è convertito e avvicinato a Dio, lo riempiamo di critiche e lo giudichiamo...

Il Signore non fa torto a nessuno, promette a tutti la vita eterna, dà a tutti il "pane quotidiano" utile per la sopravvivenza di ogni giorno, ovvero dà quel che basta per vivere perché l'eccesso induce in tentazione...

Il Regno di Dio non ammette una logica di merito (alla quale la società umana ci abitua), ma richiede una logica del dono che è la logica di Dio. L'invidia ci porta a credere che i primi (coloro che hanno sempre servito Dio rispetto agli ultimi arrivati) debbano meritarsi di più... e cos'altro vorremmo oltre al Paradiso? 

Non sarebbe un Dio della vita colui che lascia morire senza speranza gli ultimi, non sarebbe un Dio dell'amore colui che crea disparità e non cerca di salvare tutti. Il problema dei primi è quando non accettano gli ultimi e quindi usano una logica diversa da quella di Dio, usano occhi incapaci di vedere il Bene.


  • Provo invidia verso qualcuno? Perché?
  • Ho mai ritenuto che il Signore abbia fatto qualcosa di ingiusto? Perché?
  • So accettare la volontà di Dio? Anche quando è scomoda?
  • So amare tutti, anche coloro che non se lo meritano?
  • So guardare ogni cosa con gli occhi di Dio? In cosa devo correggere la mia vista?

d. Domenico

sabato 16 settembre 2017

Iper-dono


A tutti sarà capitato (e capita ancora) qualcuno che non si può proprio perdonare, per ciò che ha fatto o per ciò che è, che irrita al punto da non poter assolutamente considerare la possibilità di amarlo.

Cosa fare, allora?

Il Vangelo (Mt 18,21-35) offre tre consigli:
Compassione, avvicinarsi a Gesù e perdonare settanta volte sette.

Pietro chiede a Gesù cosa fare nei confronti di un fratello che commette una grave colpa nei suoi confronti, Gesù non dice di perdonarlo (una volta), ma di iper-donarlo (sempre e per sempre)! Poi racconta una parabola dove descrive il Regno come una situazione in cui un padrone ha un credito alto nei confronti di un tale che non può pagare, ma quello lo supplica e il padrone glielo condona. Ma quel servo non fa, a sua volta, la stessa cosa nei confronti del suo debitore e lo fa spassionatamente chiudere in carcere provocando, così, l’ira del padrone che invece lo aveva perdonato, perché anche lui facesse altrettanto.

Il padrone è Dio e i debitori siamo noi. Dio perdona sempre i nostri debiti/peccati (e noi lo preghiamo perché lo faccia), ma noi non facciamo altrettanto nei confronti di chi ci offende.

Ogni volta che ci troviamo in una situazione di difficoltà, dove un fratello ha commesso una colpa, la più ingiusta dobbiamo impegnarci a:
  1. non fare di testa nostra, ma ad ascoltare i suoi sentimenti, cercando di capire perché egli ha agito in quel determinato modo, andando a fondo, e provando com-passione (provare i suoi stessi sentimenti);
  2. avvicinarci a Gesù, come Pietro, e chiediamo a Lui cosa fare, come comportarci, implorandolo di donarci la forza e il coraggio di agire;
  3. sforzarci di perdonare, di andare oltre noi stessi: perdonare è sempre un atto di amore e tutti i battezzati sono divenuti immagine e somiglianza di Dio. 

Ogni volta che perdono, dono l’amore che Dio ha riversato in me e mostro il volto di quel Dio che mi ha amato e vuole che attraverso di me anche gli altri avvertano il Suo amore. E allora perché sono restio a non perdonare i miei grandi debitori?

  • C’è qualche situazione irrisolta nella mia vita? Quale? Perché? Cosa ho fatto per risolverla? A chi ho chiesto consiglio?
  • Chiedo perdono a Dio dei miei errori?
  • So iper-donare? Chi: gli amici o anche chi mi è meno simpatico?
  • Nei confronti del mio “nemico”/debitore so pormi in situazione di ascolto? So cercare di ascoltare le sue motivazioni? O sono solo irruente e istintivo?
  • Come mostro l’amore di Dio? I miei atteggiamenti trasmettono la sua immagine e somiglianza?

d. Domenico

domenica 10 settembre 2017

Facciamoci i fatti degli altri!


Il brano in cui Gesù ci invita alla correzione fraterna (Mt 18,15-20) è per Gesù un modo per invitarci a preoccuparci per il nostro fratello, a non lasciarlo smarrire. Chissà, a volte se vediamo qualcuno sbagliare o godiamo (credendoci migliori di lui), o rimaniamo indifferenti (perché la società in cui viviamo ci insegna a pensare solo a noi stessi). 

Gesù avverte chiaramente che in una comunità che si dice cristiana (che segue cioè Cristo), tutti i membri devono preoccuparsi che ogni fratello continui a camminare per la retta via, abbia sempre al centro Gesù (fine e orientamento di tutte le nostre azioni, parole e pensieri) e non manchi mai il bersaglio (in greco hamartanò = peccare).

Insomma, nella Chiesa (dal greco ekklesìa = comunità) ogni cristiano è responsabile del fratello che si perde, perché vuol dire che non si sta impegnando perché egli si corregga e torni sulla retta via. È come se Gesù ci invitasse a non farci i fatti nostri, a non pensare solo a noi stessi, ma ad aiutare il fratello a mettersi sulla giusta strada, a farci i fatti suoi e fargli capire qual è il suo errore, senza gettare la spugna al primo tentativo. 

In fondo, se la Chiesa non va come vorremmo, è un po' anche responsabilità nostra che non ci siamo impegnati come avremmo dovuto...


  • Cosa è per me la Chiesa? Ho a cuore tutti suoi membri?
  • Cosa faccio quando vedo un cristiano perdersi?
  • Mi sento responsabile della salvezza/fede degli altri?
d. Domenico